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Commemorazione dei fedeli defunti 2024, il vescovo Marciante: “la morte è un regalo, perché regalo di una vita nuova, eterna che non muore mai”

Commemorazione dei fedeli defunti 2024, il vescovo Marciante: “la morte è un regalo, perché regalo di una vita nuova, eterna che non muore mai”

Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,37-40).

Un luogo di vita, perchè luogo dove “si annuncia la risurrezione e la vita in quanto coloro che noi chiamiamo morti, vivono, vivono nella luce del Cristo risorto”. Questo è il cimitero, il “campo santo” dove questa mattina S.E.R. monsignor Giuseppe Marciante ha presieduto la Santa Messa a Cefalù, per commemorare le sorelle e i fratelli defunti che ci hanno preceduto. Un momento intensamente vissuto, con i fedeli delle Comunità parrocchiali cefaludensi che hanno partecipato attivamente con la presenza e la preghiera per i propri cari e non solo. Presenti le autorità civili e militari, il sindaco Tumminello, il quale, insieme al vescovo, ha intitolato il 1° Viale del Cimitero al Milite Ignoto, perenne attestazione, deliberata dalla Giunta comunale nel 2021, della vicinanza di Cefalù ai cittadini, in specie giovani, che si sacrificano per il bene della nazione; inoltre, alla fine del medesimo viale è posto, accanto alla Chiesa, uno dei primi monumenti al Milite Ignoto sorti in Sicilia. Presente fra Salvatore Vacca dei farti cappuccini di Gibilmanna, ai quali è stata affidata la cappellania del cimitero. Presente anche il Seminario Vescovile con i seminaristi e il rettore don Calogero Cerami.

Diversi i passaggi chiave dell’omelia del vescovo, partendo proprio dal cimitero: “luogo di vita – ha affermato Marciante – perché frequentato da noi per ricordare e onorare i nostri cari, chi viene qui, carissimi, non può fare a meno di meditare sulla morte. Ma in questo giorno, la morte ci parla della vita. Partendo dalla morte, scopriamo infatti ciò che nella vita è essenziale, solo partendo dalla morte si può capire ciò che è essenziale alla vita, scopriamo innanzitutto, che nel battesimo noi siamo già morti, forse non lo sappiamo, ma siamo già morti perché morti e sepolti nelle acque battesimali con Cristo e nello stesso tempo, siamo già risorti con Lui ad una vita nuova”. E quindi il riferimento alla morte: “la vita – infatti – è un dono perduto che ci è stato consegnato e che noi accogliamo un dono che va investito come un talento e non va seppellito, anche nel passaggio dalla morte ci viene regalata la vita eterna. Ci ricorda che la vita è un cammino da percorrere dietro a Colui che conosce bene la strada, Cristo, perché è la via, la verità, la vita, la vita è una continua attesa, piena di speranza, perché alla fine Dio non smette di amarci, perché è misericordia. La morte ci dice di prepararci all’incontro finale con Dio, ci dice di attendere nella speranza il giudizio di Dio, perché ci sarà un giudizio”.

I caduti in guerra

Il ricordo di tutti i soldati che persero la vita durante la “grande guerra”. Per quale causa sono morti? C’è da fare una riflessione. “Quello che colpisce – continua il vescovo – è che il Signore giudicherà tenendo lo sguardo su coloro che chiama i “minimi”, il più piccolo, il più insignificante: essi sono i poveri, affamati, assetati, stranieri, ignudi, malati, carcerati, il li chiamerei “gli invisibili”. Perché è la nostra indifferenza, spesso, a non vederli, nel giudizio sotto lo sguardo di Dio vengono alla luce questi invisibili, come se il suo sguardo di predilezione li tiri fuori dall’ombra, dall’oscurità che vedono la loro piccolezza diventare una grandezza tale da assumere la stessa bellezza di Cristo. Nel giudizio apriranno anche gli occhi dei giusti, e finalmente li riconosceranno e si ricorderanno delle circostanze dell’incontro e riceveranno gioia e consolazione ma si apriranno anche gli occhi degli sporchi, li riconosceranno e si ricorderanno delle circostanze in cui hanno distolto lo sguardo per non vedere e ne riceveranno disagio e vergogna, pianto e un dolore intenso e insopportabile li brucerà per aver perduto per sempre l’occasione di portare il sommo bene: questo il giudizio”.

I poveri: “non lasciamoli soli”

Infine, ci sono loro, i poveri, coloro che nascono innanzitutto da pregiudizi e giudizi, e che spesso creano un abisso tra noi e loro. Qui, il richiamo alla lettera pastorale “Non lasciamoli soli” e al Giubileo prossimo che si appresta ad arrivare, due occasioni di riflessione e attenzione. Ci sono infatti, tante occasioni per poter “fare del bene”: “portare speranza agli ammalati – continua il vescovo Giuseppe – che si trovano negli ospedali, agli anziani nelle case di riposo che spesso sperimentano solitudine e senso di abbandono, agli ospiti, i nostri poveri che spesso mancano del necessario per vivere. Pensiamo ai nostri ospiti della casa di accoglienza Maria SS. di Gibilmanna, oppure ai tanti ragazzi e giovani che nonostante abbiano visto crollare i loro sogni a causa di esperienze familiari fallimentari, continuano a manifestare il loro entusiasmo nella vita, i ragazzi che abbiamo ospiti nella comunità-alloggio. E pensiamo anche alle famiglie dei detenuti, che sperimentano ogni giorno il vuoto perché caricati della privazione della libertà nella durezza della reclusione, noi non abbiamo un carcere qui a Cefalù, abbiamo i carcerati però, famiglie che hanno i loro parenti in carcere, anche queste vanno raggiunte”.

Il vescovo con il vicario ed alcuni sacerdoti dinnanzi la tomba dei “canonici”

Amare i poveri dunque, non è un atteggiamento spontaneo: “spesso – conclude il vescovo – sento parlare ed esprimere con disprezzo giudizi ingenerosi e falsi su di loro: sono sporchi, fannulloni, ladri, parassiti della società, questi sono i pregiudizi che creano un fossato tra noi e loro. Creano una distanza incolmabile tante volte, questo al giudizio finale sarà chiaro, ci sarà detto e ne sentiremo dolore. Gli immigrati poi, se prima venivano tollerati con pietà, oggi sono considerati lo scarto dell’umanità. Solo un supplemento di umanità, frutto di un’attenta azione educativa, con una motivazione forte, derivante dalla fede in Dio, può farci amare i poveri. Essi sono un impegno, perché ci chiamano a farci strada con loro, a stargli accanto, chiedono una condivisione non l’elemosina, incontrare un povero e prendersene cura è impegnativo, entrare in contatto con i poveri cambia le prospettive personali e la vita delle comunità”.

Il cimitero dunque, offre quotidianamente una lezione: quale? “Onorare i nostri defunti, significa investire nel bene la nostra esistenza e la nostra vita, vivono nel mondo della verità, e loro sanno qual è la verità e la verità e solo l’amore”.

Al termine della celebrazione, monsignor Marciante ha voluto soffermarsi per un momento di preghiera dinnanzi la tomba dei canonici, accompagnato dal vicario don Giuseppe Licciardi ed alcuni sacerdoti che hanno concelebrato.

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