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“Fratelli e sorelle”, non cerchiamolo tra i morti, adesso vive in Dio: l’editoriale del Direttore

“Fratelli e sorelle”, non cerchiamolo tra i morti, adesso  vive in Dio: l’editoriale del Direttore

Sono ore di silenzio e commozione. Ore in cui il mondo sembra essersi fermato, perché quando si spegne una voce come la sua, non è solo un Papa che ci lascia: è un padre, un pastore, un amico dell’anima.

Le parole, oggi, sembrano non bastare. Eppure sentiamo il bisogno di dirle. Per colmare il vuoto, per accarezzare il dolore, per stringerci gli uni agli altri in una preghiera collettiva. Di lui ci rimarranno scolpiti il sorriso buono, la voce ferma e dolce insieme, la tenacia del Vangelo, la radicalità della misericordia, l’annuncio fermo e deciso della Speranza. Ma soprattutto, ci resterà quel gesto semplice, carico di disarmante umanità, con cui si presentò al mondo quel 13 marzo del 2013, affacciandosi dal loggione della Basilica di San Pietro: Fratelli e sorelle, buonasera”. Fu l’inizio di una rivoluzione silenziosa. Un Papa che parlava con il cuore, prima ancora che con i documenti. Che abbassava le distanze, che faceva della semplicità la sua forza, e che nel chiedere preghiera per sé, ci ricordava che anche chi guida ha bisogno di essere sorretto.

La scelta del nome Francesco fu già un manifesto: come San Francesco d’Assisi, il Santo della povertà, della fraternità, della pace. Come lui, Papa Francesco ha camminato con i piedi nudi nel mondo ferito, abbracciando gli ultimi, accarezzando le piaghe del nostro tempo, portando la Chiesa fuori dai palazzi per restituirla alla strada, alle periferie, alla carne viva dell’umanità, affermando che i “pastori devono odorare del gregge”.

Indimenticabile il suo legame con la Sicilia: il viaggio a Palermo, l’abbraccio ai più fragili, la visita ai luoghi del Beato Pino Puglisi, il pranzo alla Missione Speranza e Carità con Biagio Conte e i suoi ospiti. Gesti che non erano solo simboli, ma testimonianze vive di un amore concreto. Palermo e tutta la Sicilia si sono sentite amate da lui, e oggi piangono un amico vero. A questo si aggiunge il suo sguardo pieno di gioia quando si circondava dei giovani. I selfie, le risate, i dialoghi franchi. Parlava la loro lingua, non solo con parole, ma con la libertà del cuore, ha saputo usare ogni mezzo, anche le nuove tecnologie, per restare vicino. Per farsi vicino.

In questa giornata triste e mesta, facciamo nostro il messaggio del Vescovo Giuseppe: “Carissimi fratelli e sorelle della Chiesa Cefaludense, uniamoci in preghiera per consegnare Papa Francesco tra le braccia del Padre della misericordia. In tempo per darci l’annuncio di Pasqua. Non cerchiamolo tra i morti, perché vive in Dio. Ora è entrato nella gioia eterna“. Sì, vive in Dio. E continuerà a vivere in ciascuno di noi, nelle sue parole, nei suoi gesti, nel coraggio che ci ha insegnato. In quell’ultimo messaggio, pronunciato ieri durante la benedizione Urbi et Orbi, che oggi ci suona come un testamento spirituale. Una consegna, un’eredità da custodire e portare avanti.

Ora tocca a noi. Pregare. Riflettere. Agire.
Rinascere nello spirito del Vangelo che lui ci ha fatto riscoprire con la forza disarmante della bontà.

Grazie, Papa Francesco.
Grazie per averci insegnato a non avere paura della tenerezza.
Grazie per averci mostrato che si può essere forti restando umili.
Grazie per aver reso la Chiesa più simile al Vangelo.

Papa della Speranza,
Papa dei poveri,
Papa dei semplici,
torna ora tra le braccia del Padre, da cui sei venuto.

Noi ti affidiamo a Dio, con amore.
E con le lacrime agli occhi, ti diciamo:
Arrivederci, Papa Francesco.

Giovanni Azzara

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